di Samuele De Marchi
Quella del 2024 è stata la mia prima esperienza ad Artefiera e in generale a un evento del settore, e soprattutto - nota di cui non vado fiero - ignoravo la sua natura, importanza e unicità.
Dico, con orgoglio del mio lavoro e della mia esperienza, di essere stato ed essere ancora un neofita nel campo dell’arte, solo un giovane uomo da poco laureato, per di più non propriamente del settore.
Ancora prima di entrare, le mie aspettative erano quelle di fruire dell’arte così come l’ho sempre fatto in un museo: osservare oggetti sacri e distanti, in un luogo dal grado di sobrietà e di rumore simile ad una cattedrale. Invece, niente di simile. A chiunque mi abbia chiesto “com’è stato?” ho risposto nello stesso identico modo: ingenuamente, non mi aspettavo quanto la fiera in primis, e l’arte in sé, fossero così incentrate sul commercio. La natura dell’arte anche come prodotto e investimento, nonchè l'operatività in cui gravita, inclusi gli artisti stessi ai galleristi, sono un inverso economico. D’altronde, secondo la Treccani, la fiera è un “convegno abituale di venditori e compratori”.
Questa è stata una percezione alquanto soddisfacente: ho visto opere valutate per il loro pregio, ed allo stesso tempo normalizzate dal contesto commerciale in cui sono immerse, un apprezzatissimo e inaspettato esorcismo. Mi trovo arricchito dalla presa di coscienza di questo inimmaginato aspetto, parte che reputavo “distante”, mentre invece è ben codificata - non che questo la renda più semplice - perchè l'intricato percorso che porta un'opera ad avere un valore" quantificato", passa anche da questa vetrina internazionale. Artefiera fa acquisire positivamente incanto e contemplazione all’Arte: la magia espositiva che mi aspettavo, la religiosa contemplazione a cui siamo scolasticamente preparati ad affrontare l'opera d'arte, come per incanto svanisce, per sovvertire l'atmosfera in "tangibile network di vendibilità", solido e imprevedibile come una trattativa azionaria, passaggio - quasi - obbligato della realtà merce/denaro che tutti conosciamo.
Si può dire lo stesso di chi lavora nel settore, come delle persone che ho avuto il piacere di incontrare mi hanno accolto familiarmente, nonostante il loro ruolo, dai galleristi agli artisti, è senza dubbio particolare, elitario. E’ stato bello notare l’umanità di persone non comuni, che spesso e volentieri abbiamo incasellato negativamente, che svolgono un lavoro unico come fosse un’attività qualunque. In fin dei conti svolgono un lavoro come un altro, per di più antichissimo, e forse anche l’eredità storica che si portano alle spalle ci fa vedere queste figure come segrete, misteriose, affascinanti quanto capaci di metterci in soggezione.
L’esempio che mi è rimasto impresso e a cui penso mentre scrivo, è il momento in cui l’artista Santolo De Luca (figura internazionale esponente del medialismo, corrente pittorica italiana nata negli anni ’90, autore della rubrica di AARTIC “ La paura fa ’90…Ancora” ndr) in nostra compagnia all’interno della fiera, ha fumato una sigaretta con me descrivendo e parlando dello stato del suo mestiere e dell’Arte dopo gli anni della pandemia.
Al di là delle tematiche, questo e tutti gli altri incontri fatti durante la fiera ha fatto sì che si scardinasse in me quella visione di questo mondo come snob e diffidente come un animale selvatico, ricordando che di fondo c’era per tutti i presenti quello che c'è anche per me: la passione per l’Arte, il suo racconto, valorizzazione ed espressione.
Fino a questo punto ha parlato la mia parte ingenua e da outsider, ma l’indottrinamento dei miei studi e la lente della moda mi hanno permesso di vedere altro. Partendo da una nota forse frivola, sono stato subito colpito dall’estro di alcuni presenti; dai più giovani ai più grandi, si portava tra i padiglioni la stessa allure che cammina tra le strade della città durante una settimana della moda. Persone certamente occupate in un modo o in un altro, ma che non rinunciano a indossare capi stravaganti in occasione di un evento, per arricchire la loro bellezza della bellezza del contesto e viceversa.
Altra caratteristica che ho notato essere affine ai processi della moda e riconferma dell’importanza del commercio, è stato scoprire e vedere assieme caratteri di “stagionalità” di alcune opere, - ad esempio la popolarità durante l’evento dei famosi Tagli di Fontana in piccole dimensioni e in particolare in giallo - e il successo riscosso indipendentemente dai contenuti più classici, dalle opere antiche, dalle ultimissime novità, dai lavori più concettuali a quelli più decorativi.
Sfruttando la pratica di mettersi e mettere in mostra come espediente, non posso fare a meno di notare quanto questa occasione fosse una vera e propria vetrina per l’arte: così come per gli abiti nei negozi, le opere vivevano degli sguardi dei curiosi, degli studiosi e per ultimi ma di certo non per importanza, dei compratori ed investitori. Suonerò come un disco rotto, ma anche in questo caso credo nell’influsso positivo delle pratiche di mercato, soprattutto durante Artefiera: questa proprietà, unita all’apprezzamento e alla cura sempre maggiore degli spazi, dell’Arte e del design che si vede sui media, fa sì che il prodotto interessato si avvicini alle leggi del consumo e delle masse che da sempre invece contraddistinguono la moda, permettendo di sbirciare oltre il muro della scarsa accessibilità e educazione che generalmente contraddistingue tale ambito.
È in parte questo, a mia vista, oltre a motivazioni innegabili di accessibilità e risorse economiche, a ridare splendore e visitatori ad Artefiera dopo gli anni della pandemia; notavo come tutti gli addetti ai lavori confermavano il successo di questa edizione dell’evento, sottolineando come sia ancora in costante crescita rispetto agli anni precedenti, processo che, scaramanzie italiane a parte, possiamo chiamare lieto fine.
Bologna, 10 febbraio 2024
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