Sembrava davvero strano tornare a Venezia, rivederla spopolata e smorzata d’iniziative ed eventi significativi specie d’estate, per andare tuttavia ad una nuova vernice dal titolo coraggioso e altrettanto provocatorio, Assembramenti.
Questa la scelta di Michela Rizzo, titolare della nota galleria d’Arte contemporanea che porta il suo nome e che, incutendo molta curiosità anche per l’effetto contrastante con le ultime imposizioni di lungo confinamento a cui ci siamo dovuti assoggettare, è riuscita in modo azzeccato a fare breccia nei timori degli spostamenti e dei luoghi chiusi.
L’effetto è stato senz’altro riuscito, specie nell’intenzione di dare un impulso positivo al ritorno alla normalità partendo proprio dall’Arte, che unisce e raduna anche quando la fisicità al suo cospetto è ridotta al minimo.
Un’idea di collettiva, quella di questa mostra che “assembra, ma non minaccia”: più di trenta artisti coinvolti nell’esposizione, sono una prima assoluta per lo spazio dell’isola della Giudecca, a testimonianza che oramai è matura la voglia e la necessità per lo spirito di riappropriarsi della libertà di esprimersi, di interagire e di emozionarsi.
Il proposito dell’iniziativa è di dare una sorta di affermazione e continuità alla linea stilistica della galleria, che si distingue per le scelte di Michela Rizzo sempre animate dalla cura stilistica e dalla istintiva passione per l’Arte e le sue differenti espressioni, razionali e figurative. Ma di dare anche una scossa agli animi, di invitare a reagire alla staticità del momento, superando angosce e incertezze diventando nuovamente attori del nostro tempo anche pregiandoci di tornare ad essere pubblico di un evento culturale.
Entrando nello spazio espositivo, in un percorso che via via si snoda nell’associazione contrastante e dialettica delle opere, la varietà degli stili e dei media utilizzati, mettono a confronto linguaggi tradizionali con quelli più contemporanei, in una vicinanza concettuale e visiva che si manifesta oggettivamente coerente: non un miscuglio casuale ma un affiancamento dialettico delle opere nella loro lettura del mondo, della vita e della società; la molteplicità degli esempi espressivi sorprende e stimola la mente a cercare le proprie affinità e inclinazioni.
Nel itinerario della galleria, architettonicamente articolata nelle sale che sono state parte dell’ex birrificio Dreher, la pittura lascia poi spazio al disegno, alle mappe, alla fotografia, per culminare nello spazialismo, nella progettualità e nelle installazioni più vicine al razionalismo storico.
Accanto ad esse, s’inseriscono oggetti della più recente e ludica attualità, che avvicinano alla storia e alla tradizione espressiva l’evoluzione dei linguaggi e delle concezioni estetiche, i suoi valori relativistici legati a interpretazioni soggettive del mondo e della realtà storica contemporanea, ampliando la concezione del bello sino all’estremo cognitivo come spesso accade nei linguaggi espressivi dei più giovani. Così gli oggetti di uso quotidiano divengono complementari ai linguaggi figurativi classici, come ad esempio le slot machine di Alessandro Sambini, palesando il proprio vissuto come esperienza artistica oggettuale e tangibile.
Ogni spettatore può cogliere in questo evento la sua affine accezione, senza per questo perdere di vista la linea dell’insieme tracciata dalla disposizione, apprezzando al contempo sia il lavoro degli artisti preferiti, che le scelte stilistiche della galleria.
La visita alla mostra intrattiene dapprima il mio sguardo sulla liricità dei dipinti di un artista versatile, Pierpaolo Curti, che da ex calciatore è diventato allenatore, coltivando parallelamente il suo talento per la pittura. I suoi quadri apparentemente tristi e melanconici, sono in realtà un punto di partenza per riflettere: i cieli illimitati e riconoscibili dagli accenni di nuvole suggeriscono lo sconfinamento, ovvero la possibilità dell’arte di essere liberamente interpretata e della vita di offrire infinite possibilità alla natura ed allo spirito umano di realizzarsi.
Molto interessanti dal mio punto di vista i paesaggi e le città dai lavori di Mariateresa Sartori, mappe ideali ed al contempo reali che analizzano i flussi di gente nei luoghi più frequentati di Venezia, evidenziando le dinamiche rilevate empiricamente grazie al mezzo fotografico e restituendo immagini rappresentative e salienti di questa ricerca, che riproducono esiti diversi in base alle angolazioni visive, agli orari di affluenza ed agli istanti dello scatto.
L’indagine dei rapporti tra uomo natura, altro tema privilegiato dall’interesse della galleria, è rappresentato mirabilmente dallo scultore Ivan Barlafante, l’artista romano, co-fondatore nel ’98 del gruppo artistico ICE BADILE oramai sciolto, assieme ai colleghi Emilio Leofreddi, Claire Longo, Claudio Di Carlo, Daniela Papadia ed il designer Andrea Orsini. Insediatosi in una ex fabbrica riadattata a studio e fucina d’arte contemporanea “collettiva”, per 12 anni il gruppo ha svolto un’attività intenzionalmente senza confini, negando i meccanismi ed i limiti dettati dal sistema dell’arte, ed offrendo per contrasto un percorso alternativo ed inclusivo, guidato unicamente dalla creatività, vera fonte d’ispirazione per realizzare l’opera d’arte.
La stupenda scultura in legno, roccia e acciaio inox lucidato a specchio, esposta nella Project Room della galleria, è un esempio di come Barlafante dall’interazione di materiali di diversa provenienza industriale e naturale, interpreti l’uomo nella sua ambivalenza, originaria e spirituale; le superfici specchianti del tronco invitano lo spettatore a interrogarsi, a chiedersi se stia guardando natura o artificio; l’estetica dell’oggetto scultoreo prevale, significando intrinsecamente che la bellezza e l’attrazione per l’Arte riesce talvolta a rendere meno greve la dura realtà, ed al contempo a far apparire plausibile la presenza del divino nel mondo.
Foto dell'inaugurazione della mostra il 20 giugno alla Galleria Rizzo
Un apprezzato incontro nella stessa sala dell’installazione Alcuni dell’amico artista veneziano Maurizio Pellegrin, da molti anni residente a New York, dove, tra le altre cose, ha fondato una scuola d’arte. Opera già esposta nella mostra presentata presso i Musei Civici Veneziani nel 2006, presentata in occasione della grande mostra Isole, che ha visto la collaborazione della Galleria Michela Rizzo e la curatela di Alice Rubbini. L’evento riveste per me un particolare legame affettivo con un artista che ritengo rappresenti una delle menti più colte dell’Arte italiana contemporanea. Da sempre la sua ricerca della relazione tra passato storico e il suo retaggio spirituale nel presente, viene esternata nei lavori profondamente concettuali di Pellegrin con elementi e oggetti antichi, spesso avvolti in tessuti e in teche che trattengono negli artefatti l’evanescenza della componente esoterica, inafferrabile e occulta e per questo bisognosa della conoscenza e dell’ingegno umano per essere svelata, comunicata e infine documentata.
Non è possibile guardando questa mostra non rifare più volte lo stesso percorso, approfondendo lo sguardo dapprima dato all’insieme e tornando con rinnovata curiosità a ciò che di primo acchito, nell’affluenza di persone che con piacevole sorpresa hanno animato la vernice, mi era sfuggito.
L’importante gruppo di artisti esposti rappresentano, del resto, il lavoro dell’intera carriera della galleria sin dalla sua nascita nel 2004 e, non a caso, grazie alla selezione di rappresentanti d’ogni provenienza e mezzo espressivo, è diventata un punto di riferimento nel panorama dell’arte contemporanea internazionale.
Ritrovo, inoltre, con piacevole sorpresa e sempre grande interesse, il lavoro di un innovativo architetto ed artista visivo, Vincenzo Casali, che senza dubbio si colloca a Venezia tra coloro che continuano a guardare avanti, a produrre e a credere in una città che vive il momento sommessamente e che lui stesso, in duplice veste, contribuisce ad avvalorare.
Casali, come architetto, ha sviluppato la sua carriera nella progettazione e nel restauro, occupandosi anche di grafica e di disegno industriale, sia in Italia che all’estero. A Venezia, sede di uno dei più importanti appuntamenti d’Arte Contemporanea, ha curato allestimenti di eventi collaterali e padiglioni nazionali in occasione della Biennale di Venezia in diverse edizioni.
Le forme non convenzionali che si coniugano ai materiali tradizionali nei suoi interventi architettonici, si traducono artisticamente indagando il rapporto tra spazio e opera d’arte, volgendo il suo sguardo al divenire, alla transitorietà, fissando nelle sue “mappe” geografiche il moto, il cammino, il passaggio dell’umanità che permane nello spazio.
Con notevole impatto e profondità concettuale, Casali partecipa a questa esposizione con un vecchio lavoro presentato e creato ad hoc, a misura del pavimento della prima della galleria di Michela Rizzo a Venezia (di circa mt5x4 - ndr); in questa nuova sede della Giudecca l’opera secondo me supera l’originale risultato emozionale, diventando un nuovo oggetto di grande interesse e simultaneità con il contesto. Il materiale plastico della mappa, ricoperto da una pellicola nera e in parte lisa dal camminamento, diviene l’archetipo del passato in cui permane il valore di contemporaneità, riadattandosi e interagendo con il presente artistico e architettonico che ora lo accoglie e lo circonda.
Un’esperienza, dunque, efficace e propositiva per lo spettatore la visita a questa mostra, che trova senz'altro corrispondenza, tra le numerose opere, alle proprie preferenze e passioni artistiche: se ne esce con la sensazione di essere rafforzati e stimolati a superare l’insicurezza, l’inerzia e l’apatia, l’inoperosità remissiva dovuta all’incognita e al pericolo, con un atteggiamento ed uno sguardo all’Arte che fa riflettere, rassicura e infonde positiva lungimiranza.
22 giugno 2020
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