top of page

BETTY ZANELLI, EINGEDENKEN – RECALLING THE FUTURE

di Alice Rubbini














La memoria è la custodia dei nostri ricordi, che a loro volta sono la parte viva e attiva, la materia intangibile che supporta la creazione della nostra identità. Ricordare il futuro è la perfetta antitesi di questa azione, ma in realtà non può esistere futuro che non sia nutrito dall’esperienza del passato, ed il passato non può esistere senza essere ricordato, senza essere immagine intimamente conservata nella

nostra memoria.

Ognuno di noi avrà sempre una riflessione, un’evoluzione

diversa della narrazione del ricordo, perché sempre mediato dalla traduzione emotiva della propria esperienza. E così questo riemergerà ogni volta diverso e unico, anche se formalmente uguale, perché siamo diversi noi che cambiamo ogni giorno e l’interpretazione della memoria è trasposta anche dalle nostre individuali sensazioni.  

Le opere, anzi l’intera installazione site specific di Betty Zanelli, sviluppata nelle sale espositive di The Room, crea una consequenzialità di visioni che ci abbracciano in una fusione dinamica proprio tra ricordi e memoria. I violini, le custodie, i libri, le mappe e le fotografie, persino etichette e bigliettini, sono un intreccio di oggetti che si ricongiungono a figurazioni differenti, immagini che abitano in noi, mutevoli e intime, ma reali!

L’artista, in quest’occasione si ispira ad un testo di Ernst Block e Walter Benjamin, “Eingedenken – ricordare il futuro”, dedicata all’energia dell’universo custodito dai ricordi e dagli oggetti che si incontrano, senza che questi rappresentino (almeno inizialmente) qualcosa di particolarmente significante.

La forza compositiva origina pensieri in continuo mutamento, perché lavorare sulla memoria è arte, che Betty Zanelli rincorre e ricostruisce attraverso la sua ricerca, sono porte pronte ad aprirsi, e noi spettatori ancor di più sentiamo questa energia, perché non è costruita su un qualcosa che ha “segnato la sua vita”, bensì sul piacere di trovare, raccogliere, rielaborare, far diventare proprio un qualcosa che il destino ha messo nel suo cammino: cose sue e non sue, cose perse o trovate, dimenticate o abbandonate…

Ovvero, le venti custodie ed violini che riempiono le sale espositive non sono il ricordo di suoi studi musicali, o di qualcuno a lei caro: alcuni scovati, alcuni regalati, sono loro che hanno trovato lei, per caso, per curiosità, per piacere estetico, e sono loro che negli anni, sin dalla sua prima installazione newyorkese “sinfonia dell’ideale perduto” del 1992, si sono evoluti nella testimonianza della memoria.

E oggi è come se fossero gli stessi ricordi raccontati da un’altra persona. Un’altra lei. Ora sono diventati un’altra opera, sono cambiati pur rimanendo gli stessi, hanno camminato con lei e con la crescita del suo lavoro,  perché ora riflettono anche il tempo trascorso oltre, i viaggi, le immagini, i luoghi conosciuti, abitati, vissuti, oltre agli States, la Cina, l’estremo Nord e l’estremo Sud d’Europa.   

Nuove vite per nuove anime, nuovi racconti segnati dal tempo, nuovi percorsi da esplorare, sonorità inespresse pronte ad essere nuove didascalie di memorie rimaste ad aspettare il loro tempo.

E se nel ’92 riflettevano con forza un’immagine idealista, oggi questi strumenti e le loro custodie sono l’idea di musica e di armonia, sono il suono della vita di qualcuno mai incontrato, e sono anche la storia e la realizzazione della sua stessa realtà artistica maturata negli ultimi 15 anni. Il sentimento che unisce questi oggetti appartiene esattamente al futuro della memoria, che riaffiora mai uguale ogni volta, come fossero gli stessi ricordi raccontati da persone diverse; che si intrecciano tra i dedali degli accadimenti, tra le parole di un fervente quotidiano e di uno sguardo affascinato per tutto ciò che ci circonda.

La musica scandisce, oggi più che mai, il ritmo e il tempo della sua progettualità artistica, in perfetta assonanza alla sua ricerca, precisa e simmetrica seppur libera. E’ l’armonia a prendere forma, a dichiararsi, è sintonia organizzata tra il pensiero, l’oggetto e la sua musicalità.  

E così lo stesso tempo è ritmo, che cadenza il cammino di una vita e il viaggio dei sogni, che si mescolano insieme, che ritornano a raccontarsi per il piacere di essere “scoperta”, di essere nuovo racconto. Uno dopo l’altro quindi ogni elemento, l’uno a fianco all’altro torna ad essere simbolo, narrazione, contaminazione, indicazione, sentimento, equilibrio, linguaggio, scoperta, opera d’arte.

La musica, componente integrante dell’opera installativa e che accompagna tutta la durata dell’esposizione, è del compositore Marco Visconti Prasca

 

Alice Rubbini ottobre 2024




 

 



Commentaires


bottom of page