LA COLLEZIONE PRIVATA DEL GALLERISTA ITALIANO AL MART DI TRENTO
di Anna Rubbini
Ho avuto occasione di incontrare per la prima volta Gian Enzo Sperone nella sua galleria a New York negli anni ‘90, dove mi trovavo per assistere all’intervista di una giovane critica che lo interrogava sullo “Stato dell’Arte Contemporanea Italiana negli Stati Uniti”. Se non ricordo male, mi sembra che al momento fosse allestita una mostra di Julian Schnabel, di cui ricordo enormi opere a parete, i suoi già famosi “piatti rotti”, così materici, devastanti ed esagerati da apparire barocchi nella sovrapposizione di cocci, spesse pennellate e cornici esagerate, un’artista che aveva già raggiunto la massima notorietà e che nel nostro paese era possibile vedere a grandi eventi come Arte Fiera a Bologna o poco più in là, alla Fiera di Basilea. Come gallerista Sperone era importante già allora, tanto da ritenersi doveroso acquisirne la testimonianza, quale eminente rappresentante della nostra cultura e del mercato contemporaneo.
Appariva carismatico e culturalmente affascinante, uno dei primi galleristi che dall’Italia guardarono oltre oceano, da dove allora provenivano le espressioni più forti e significative dell’avanguardia artistica e che da lì influenzarono altri contesti, divennero esempi e stimoli dell’open mind più estremo e audace, di quel contemporaneo modo di produrre Arte che ha fatto da apripista alla nascita di molte correnti divenute ormai “storicizzate” ed ineguagliate rispetto alle espressioni artistiche dei giorni nostri.
E’ stata una piacevole sorpresa ritrovarlo in una Mostra al MART, con la sua straordinaria collezione dove ha sorpreso il pubblico con la sua vastità di interessi, con la scoperta di una edotta attrazione per l’Arte Antica, cogliendo lo stupore degli astanti per una inusitata passione che passa anche per la storia e, come lo stesso Presidente Sgarbi ha evidenziato, per quella di autori e branche minori che lo sono solo per fama e non certo per qualità.
Stando alle parole di Vittorio Sgarbi, nella conferenza introduttiva di presentazione della mostra, lui stesso e Gian Enzo Sperone sono accomunati dalla considerazione che nell’Arte la definizione di minore e maggiore sono equivalenti, e la loro analogia è data dalla natura peculiare delle opere che, pur non provenendo da autori Maestri, lo sono per maniera, per corrispondenza storica ed abilità esecutiva, di cui il gusto non può non apprezzare la levatura in modo indistinto dalla fama raggiunta.
Del resto, la collezione esposta proviene da una personalità che si distingue indiscutibilmente come appartenere ad un uomo “illuminato”, ad una mente tanto aperta da aver ritrovato nel contemporaneo, in autori come appunto Schnabel, Richard Long, Andy Warhol, Arman, Pistoletto, Peter Halley, Alighiero Boetti, Castellani, Paolini, Paladino, Merz e innumerevoli altri, il riferimento inevitabile al passato, alla storia e alla sua imprescindibile valenza suggestiva e autorevole.
E così il gusto di Sperone ha spaziato dall’antico al moderno a ritroso, partendo dal contemporaneo per approdare ad un eclettismo di esempi da divenire una trasposizione “enciclopedica” della propria visione dell’Arte nel senso più ampio e multiforme della sua valenza.
Ho apprezzato moltissimo le icone ed i fondi oro del trecento e quattrocento, i numerosissimi ritratti tra i quali troneggia dall’alto il suo a figura intera eseguito da David Bowes, i busti d’epoca romana e neoclassica, che risultano quasi la loro versione a tutto tondo; ma anche i dipinti di grandi Maestri come Goya e Hayez, paesaggi religiosi di ogni epoca e luce, splendide stampe di Piranesi, dipinti di Chia di Bruce Nauman; grandi opere di autori concettuali come Fontana, o meravigliosi astratti di cui, su tutti, i due grandi dipinti di Halley mi hanno emozionato come quando incontrai l’artista – peraltro negli stessi anni ’90 in cui conobbi Sperone - ; ma potrei continuare all’infinito, tuttavia non sarei esauriente nel descrivere l’immensità e la bellezza, a volte la perplessità, delle scelte dettate dal gusto del collezionista.
Quando l’Arte è elevata è sempre contemporanea: un’affermazione di Sgarbi assolutamente condivisibile, ed aggiungo che il gusto per opere che hanno un’anima, al di là dell’attribuzione di valore, rendono l’Arte una espressione senza tempo.
Per la stessa ragione, conoscendo il percorso espositivo di Sperone, che ricordano tutti come uno dei fautori del successo dell’Arte Povera e della Transavanguardia a livello internazionale, un uomo di coraggio intellettuale e propositivo di cui ammiro la volontà di condividere il suo privato con il pubblico, non nego che mi aspettavo anche altre presenze, tra le quattrocento opere della mostra: altri autori diventati più o meno celebri, eppure significativi anch’essi negli anni della sua attività, che hanno determinato il suo gusto e caratterizzato il suo lungo percorso espositivo.
Immagino che la vastità della sua collezione abbia comportato delle scelte, delle opzioni piuttosto che altre, per sottrazione, per rappresentanza incompleta se non altro, di quella che sicuramente sarebbe una sconfinata esposizione per il numero ben più vasto di opere che gli appartengono, come ci si può aspettare da una “famelica passione” per l’Arte del suo detentore.
Ciò che sorprende maggiormente, ciononostante, non è solo come ha evidenziato Sgarbi l’eccellenza della collezione in mostra, ma l’ammirevole vitalità e affabulazione e dell’uomo Gian Enzo Sperone, della sua personalità e del suo approccio alla cultura in senso più ampio.
La sua figura di gallerista e collezionista rappresenta uno degli esempi della nostra contemporaneità visiva in cui è tangibile che se la passione diventa lavoro, il lavoro diventa vita.
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