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INTERVISTA A ROBERTO PAGNANI

di Anna Rubbini












Una casa museo quella di Roberto Pagnani, circondata da una folta vegetazione e da opere sparse nel grande giardino antistante, dove mia sorella Alice che mi ha accompagnata è già stata molto tempo fa, ma che tuttora, come me, rimane sorpresa dall’ingresso attraverso un bellissimo e rigoglioso parco che ammanta tutto. Inizia così l’intervista all’artista bolognese che vive a Ravenna, città che appartiene alle sue

origini familiari, parlando sin dai primi passi all’interno di

questa affascinante dimora, la Nuova Villa Ghigi, progettata da Luciano Galassi, lo stesso architetto che progettò anche il primo nucleo di Marina Romea: “il lido non nasce come località di turismo di massa”, ci spiega Roberto, eccellente padrone di casa che ne celebra la storia e gli antichi trascorsi, “ma come frazione giardino per i residenti del territorio, e questa casa è la prima realizzazione di villa pensata per quella vicina località di mare”.


A.R. Una casa magnifica Roberto! - lo incalzo appena seduta rispettosamente su un divanetto che mi catapulta indietro in un tempo elegante e sontuoso -  Una casa galleria la tua, ce ne parli? Roberto Pagnani e Anna Rubbini


RP Questa è la casa dei miei nonni, è la nuova Villa Ghigi, perché la prima è qui vicino ed apparteneva alla famiglia di mia nonna: loro si dedicarono al collezionismo, ma mentre i mobili vengono dalla famiglia di mia nonna che era una Ghigi e da lei la casa ha preso il nome; invece il nonno – di cui è omonimo ndr -  era un grande collezionista d’arte contemporanea. Dei due fu lui che volle questa casa strutturata con questa stanza enorme e senza muri o pilastri, adottando un sistema di catenelle fissate su uno scorrevole nascosto in una rientranza tra soffitto e muro che permettesse, come le antiche gallerie, di appendere senza chiodi  i quadri; non fissandoli per sempre al muro, ma esponendoli in modo da spostarli quando se ne aggiungevano altri, proprio come fossero in una galleria. I mobili antichi – anche questi di grande pregio, il mio sguardo si sofferma su una credenza veneziana del 700 bellissima accanto al camino, che immagino anche questo di eccezionale valore - vengono come dicevo da mia nonna, che portò in questa casa lo stile della prima Villa Ghigi appartenuta ai suoi antenati e che si trova non lontano da qui.


AR Lo lascio narrare affascinata dai segreti di questa dimora, la cui fama l’ha preceduta, ma che acquista tutt’altro fascino nel racconto del padrone di casa che si fa cicerone erudito ed educato, accogliente e preparato alle domande e alla curiosità dei suoi ospiti.


RP In questa sala, che è la più grande della casa, domina l’informale: i quadri più grandi sono di Mattia Moreni che era un grandissimo amico del nonno ed uno dei più grandi fautori del suo lavoro, dal ’56 sino alla sua morte. Infatti mio nonno morì nel 1965 in un incidente stradale, ed era in viaggio, oltre che con la nonna, con il giovane critico d’arte Alberto Martini e la moglie. Martini fu l’ideatore di una famosa collana -forse la più famosa in Italia - di libri per la grande diffusione della storia dell’Arte, i Maestri del Colore, collana di monografie di artisti e correnti ricca di riproduzioni fotografiche di grande qualità per l’epoca, che è riuscito a portare l’arte in tutte le famiglie italiane, un’edizione che chi ha seguito questi studi sicuramente conosce.

Una cosa importante che mi piace sottolineare è che questa casa, oltre ad essere uno scrigno pieno di quadri, conserva anche numerose lettere e fotografie di quei tempi: questo significa che la collezione è “ragionata”, che il collezionista era anche un uomo di cultura che manteneva rapporti con i critici ,gli artisti e talvolta li ospitava. Infatti lui, Roberto senior, che amava la fotografia, li ritraeva spesso e riusciva a scattare istantanee molto belle che gli stessi artisti utilizzavano per le loro pubblicazioni.

 

AR:  Un iniziatore delle residenze d’artista che tanto si usano oggi….


RP:  Si! Senza saperlo, ma si! Infatti c’è una stanza dove ha ospitato Ben Shahn, un artista che si occupava di temi sociali dell’arte, di origine lituana, naturalizzato americano e molto amato da Rockefeller. Ben Shahn studiava e utilizzava nella sua pittura i font:  studiava, appunto, i diversi font di diverse lingue, in particolare dell’ebraico, e li riproduceva pittoricamente; infatti faceva dei quadri con dei caratteri ebraici rossi, molto stilizzati. Lui fece un regalo: un quadro, molto interessante, con rappresentato un font particolare di sua invenzione... questo per dire che era un ricercatore dei font ed era anche uno degli autori preferiti di mio nonno …


AR. Una storia importante, con grandi nomi dell’Arte e della cultura del secolo scorso che hanno improntato la tua infanzia e la tua crescita, tu pensi che saresti diventato lo stesso un artista? O pensi che questo passato sia stato determinante per la tua scelta?


Roberto Pagnani, Paesaggio I, 2024


RP: A parte Moreni, che ho conosciuto personalmente, e Georges Mathieu in Francia, gli artisti li ho conosciuti e vissuti qui, io sono figlio di questa collezione! Sono dieci anni intensissimi di collezionismo, dal ’55 al ’65; da ragazzo ho incominciato a vedere tutte le lettere, perché io non ho mai conosciuto i miei nonni di persona, ho imparato a conoscerli guardando le fotografie e leggendo le lettere che avevano lasciato. Fu proprio vedendo le fotografie che mi accorsi che tanti quadri non c’erano più. Mio padre era minorenne quando accadde l’incidente, era diciottenne – allora si diventava maggiorenni a 21 anni ndr-  ed andò a Bologna e la casa venne messa sotto sequestro, perché le assicurazioni non erano obbligatorie e si trovò a dover pagare i danni, e subì anche le conseguenze  di una causa civile e dovette vendere molti quadri. Quindi io, non trovando i quadri venduti, pensai: cosa posso fare?... Posso riempire i vuoti! e fu così che confrontando le lettere e gli spazi vuoti mi accorsi che mancavano dei “Giacometti” e iniziai a disegnare e dipingere, e diedi continuità alla collezione. Non potevo diventare un collezionista perché per avere una collezione così ci vuole una economia enorme, e allora divenni artista. E ride….


AR: Ma che bello!, geniale ed allo stesso tempo affettuosamente ambizioso …


Roberto continua a spiegare i quadri della collezione e, ascoltando di sottofondo musica Jazz, si sofferma a raccontare un quadro cupo di Cazzaniga, che appartiene a quelli raccolti dal nonno negli anni ’50 e che raffigura, appunto, dei suonatori di Jazz con i sassofoni in primo piano, musicisti che si ritrovavano a suonare al Bar Giamaica. Poiché il genere di musica apparteneva ai neri e a loro non era permesso suonare, si ritrovavano in luoghi cupi e fumosi, ed erano anche grandi consumatori di eroina: infatti la testa del musicista nel quadro è un teschio, proprio per la melanconia della loro condizione e l’inesorabilità non tanto del loro vizio, ma della consunzione della loro vita …



AR Però li riempi bene i vuoti! Sdrammatizzo sull’argomento fissando un suo quadro di grande poesia che rappresenta uno dei suoi soggetti ricorrenti, il mare, esposto sopra il camino, che peraltro assomiglia, o forse è lo stesso, di quello che avevo appena visto in una sua personale a Ca' la Ghironda Modern Art Museum di Zola Predosa.


Parliamo ancora dei quadri esposti; si sofferma descrivendone uno molto grande, con i toni predominanti del nero sul fondo e del rosso al centro, che si intitola “Incendio sul mare”, racconta che è stato esposto alla Biennale di Venezia e la lettera di prestito è fimata da Giò Ponti, allora direttore della Biennale.


RP E’ bello vedere la collezione anche da un punto di vista documentale, conoscere da dove i quadri sono arrivati, che mostre hanno fatto, i percorsi artistici di quegli anni ed anche per questo è ragionata. La catalogazione vera e propria è in corso, però le opere le trovi in tantissime pubblicazioni, addirittura qualche anno fa è stata pubblicata una tesi su Alberto Martini con un intero capitolo su mio nonno e la sua collezione – il viso di Roberto si illumina quando lo racconta (ndr)-


AR Quando ti sei accorto che, dopo i quindici anni, avesti voluto fare l’artista e che avevi trovato la strada giusta per la TUA carriera?


RP Non lo so, penso che ormai che sono un artista, … e vorrei continuare…. Ironizza…  

Mi viene da ridere, perché quando avevo quattordici anni e dovevo intraprendere le superiori, imperava nella zona l’Industria agraria  del gruppo Ferruzzi-Gardini,  e Gardini aveva ettari ed ettari di terreni, così matematicamente pensai di intraprendere gli studi di agraria. Però appena mi sono accorto  che non me ne fregava niente della matematica, della fisica e dell’agraria, mi dissi che forse era meglio se facevo il liceo artistico! Ma sì,  fa lo stesso, tanto sono già in mezzo all’Arte...- E si fa una gran risata!

Ero abituato a ospitare artisti a casa nostra, ad esempio ricordo bene quando veniva Moreni, che non era un personaggio facile, e lo vedevo disteso per terra a scherzare beffardo...



Roberto Pagnani, Silent speing, 2024

 

Dopo poco Roberto Pagnani continua a raccontare aneddoti tra i più significativi della storia della collezione, ma è bello seguire le sue divagazioni dal focus dell’intervista su di sé, perché quanto ci rivela, anche se non lo vede protagonista, sicuramente è elemento determinante della sua creatività, dell’amore per il suo vissuto e quello familiare; il racconto  intenso dell’attaccamento al luogo e alle cose, di emozioni che è raro ricevere nelle descrizioni del passato da un artista contemporaneo, ed è anche per questo che piace intervistarlo: per la generosità di aneddoti e di episodi tra i più singolari, quasi ad esprimere  frame di uno stesso film, il to be continued nel presente, in cui anche l’interlocutore per un frangente diventa attore.

 

RP Vedete quel quadro azzurro in fondo alla stanza? Quel grande quadro al di sopra dal titolo “Deserto rosso”, di Gianni Dova, un bellissimo smalto su tela. Lui era un artista spazialista, ma la cosa interessante, a parte il quadro molto bello è che lo ha voluto Michelangelo Antonioni quando girarono “Deserto rosso” a Ravenna.

Antonioni venne a trovare mio nonno, perché il film lo girarono nel ’64 prima che lui morisse. Il quadro è del ’61: pensate Antonioni quant’era grande e attento, ogni cosa nei suoi film aveva un significato, non era mai a caso! Lui scelse quel quadro proprio perché ricordava un pittore che all’epoca andava molto forte e poiché il protagonista era un ingegnere di Milano, che si trasferisce a Ravenna per dirigere un’Industria, lo volle per rappresentare il suo prestigio/status. Peraltro il film, che era a colori, vinse il premio del Leone D’Oro al Festival di Venezia come miglior film ed il Nastro d’Argento per la fotografia.

 

AR Il fascino che attraversa la stanza, ma in realtà tutta la casa-museo è davvero vibrante, non si può non rimanerne affascinati…

 

RP Un altro quadro importante della collezione che appartiene all’informale è quello laggiù, quello più grande, ed è di Toshimitsu Imai, un artista Giapponese di grande valore. L’informale lavorava su strati materici, una pittura corposa, a volte violenta, ricorda  un po’ quella di Jackson Pollock.

 

AR  Io riprendo a fare le mie domande sempre molto incuriosita:  quindi tu non hai fatto le scuole d’Arte o il Liceo? Chi ti ha insegnato a tenere il pennello in mano?

 

RP Mi insegnò mio padre, lui era un pittore, e poi sono andato ad incisione presso la bottega di Giuseppe Maestri, mi ha insegnato lui a incidere.

 

AR Ah, dunque anche tuo padre era un artista?


RP Si, e anche lui, come mio nonno, frequentava gli artisti e li ospitava in casa. E’ grazie a mio padre che ho iniziato ad apprezzare gli artisti informali, li ho copiati ed ho provato a ritrarre alla loro maniera…


AR E oltre a tuo padre, chi è il tuo autore preferito?

 

RP Sinceramente non ci ho mai pensato, ho sempre guardato alla panoramica generale; sicuramente mi piace la “pittura d’azione”, cioè quando il pensiero è veloce anche nella realizzazione del quadro! E anche una certa fisicità: per esempio uso poco i pennelli e uso molto le mani, uso molto le spatole, perché la mia formazione deriva dall’informale in generale… - si sofferma e poi ammette - uno che forse mi ha realmente ispirato è Moreni!

Lui ha questa concezione della natura e del paesaggio, per esempio quello (lo indica con lo sguardo) è un quadrio dal titolo “Paesaggio con apparizione”, con al centro appunto l’apparizione, Moreni lo fa diventare un’opera aperta: che vuol dire che chi lo guarda se ne appropria e lo interiorizza, e muta a seconda di chi lo osserva, e così non stanca mai; c’è chi vede una bricola, chi vede la laguna, chi vede una persona… questo senso di paesaggio mi ha sempre affascinato, un punto di vista che non sia troppo didascalico, che abbia però degli elementi sul mare e sull'orizzonte aperto, sennò stanca. Io ho sempre amato l’Arte di per sé, quando uno è coerente con sé stesso e con quello che fa, per me è un maestro.

 

AR Questo tuo pensiero è molto bello, perché trai ispirazione a trecentosessanta gradi! Quindi il tuo progetto più grande è creare la Fondazione?



Roberto Pagnani, Paesaggio II, 2024

 

RP Oltre alla Fondazione, ve lo dico in anteprima, ci sarà una grande mostra a Ravenna sulla collezione. Quindi la cosa più importate per me si sta’ già realizzando, il fatto che il luogo che è stato costruito da persone così appassionate dell’Arte, in un momento in cui la società guardava in avanti ed anche la formazione delle persone; ma loro (i nonni, ndr.) purtroppo sono venuti a mancare … e per me è importante ricordare l’Italia che avanzava, e così la cultura; quello è il mio progetto più importante!

 

AR Perciò dare continuità alla collezione e affermare il valore di testimonianza della cultura dell’epoca...

 

RP Si, infatti l’idea è di portare soprattutto la parte fotografica a Ravenna, e di fare delle visite guidate alla collezione qui, perché non ha senso portare, nella stessa città, la collezione da un luogo all’altro.

Delle visite che abbracciano tutte le opere, selezionandole, queste sono sparse in tutta la casa e qui c’è soltanto il cuore della collezione …

 

AR Quindi abbiamo tante anime che girano in queste stanze? … Ironizzo,  guardandomi attorno con un senso di realtà che supera l’immaginazione.

 

RP Si, ci sono molti fantasmi che girano, ci sono quadri ovunque...

 

AR Non pensare, ma in molte abitazioni, soprattutto di artisti, mi è capitato di vedere che ci sono quadri anche in bagno …

 

RP Si, li ho anch’io; c’è, Daniel Pommereulle, un artista che è anche attore, che ha lavorato per Rohmer e Godard, ed ho tre tele sue in bagno che sono perfette esposte dove sono. Ci scappa una fragorosa risata, il doppio senso, artistico e viscerale, distende gli animi e alleggerisce il senso di celebrazione e di riguardo, riportandoci alla consapevolezza della nostra umanità, colta e amante dell’Arte e della Cultura, ma fortunatamente presente e vitale, propositiva di spunti e di tante cose ancora da fare, di voglia e aspirazioni per Roberto di diventare, forse, ma per noi lo è già, un testimone dell’Arte stimato e affermato.  

Proseguiamo guidati nell’escursus delle opere esposte in casa e ci viene suggerita una guache di Georges Mathieu, che è il suo primo disegno, una guache, realizzato lì, ed è uno schizzo per un’opera che verrà realizzata a mosaico, con una dedica al nonno bellissima, che lo ringrazia per la rinascita culturale di Ravenna.


RP … A proposito di Venezia – quasi un omaggio alla venezianità delle intervistatrici ndr- questo è un carboncino del ’46 di Vedova! E li c’è un altro quadro di Vedova che è una veduta di Porto Marghera ...

 

AR Tu sei nato a Bologna, che rapporto hai con la tua città di nascita?

 

RP Mah, è un po’ una coincidenza perché quando la casa venne messa sotto sequestro – per l’incidente che portò alla morte dei nonni - mio padre andò da una zia, Adriana, sorella della nonna. E lì conobbe mia mamma, che anche lei non era bolognese ma di Bergamo. Nacqui solo a Bologna, perché appena poterono mio padre volle tornare a Ravenna ed io sono cresciuto qui, mi sento di Ravenna.

 

AR Un perfetto Emiliano Romagnolo dunque!

 

RP Sorride e continua a raccontare: questo è un artista di Meldola, Lombardi, che mi regalò un suo quadro, questo è un disegno di Licata, quest’altro è del Bolognese Nanni Menetti, questo è Jean Fautrier, poi qui ci sono gli anni 50, questa è una scultura di Giò Pomodoro….

 

E così, tra bellezza e cultura, tra ricordi ed aneddoti, abbiamo continuato a parlare per due ore, instancabili e affascinati astanti in un luogo – perché definirla casa è troppo riduttivo – vibrante e denso di cose, oggetti, foto, lettere e cimeli che l’artista padrone di casa ci descrive e racconta.

Le impronte ed i passaggi sono ancora forti presenze, tra le più diverse eppure vicine per spessore e valenza storica, culturale ed artistica, una  testimonianza che non si può descrivere, bisogna provarla. Bisogna cioè entrare in una dimensione che forse, proprio perché è il vissuto di Roberto Pagnani, è la sua educazione ed il pane quotidiano della sua vita, rende più spessa, più materica e più emotivamente coinvolgente il risultato del suo lavoro. Siamo stati così travolti dai racconti che non siamo nemmeno stati nel suo studio, ricavato in un’ala della casa/museo. La storia della sua famiglia, del suo trascorso, di tutte le energie che l’artista sta impiegando per realizzare i suoi obbiettivi, per le collaborazioni che ne conseguono, per una crescita culturale a tutto tondo ci ha assorbiti e accomunati.

 

Ripensando a questa intervista, fatta di poche domande e di una grande disponibilità, di molte cose da raccontare e poco da scoprire di sé, con naturalezza e sintonia, ho apprezzato da vicino l’artista e la persona di Roberto Pagnani. Scoprendo il suo mondo e la sua realtà, genuina e affascinante allo stesso tempo, che è anche una grande fucina di idee e spinte a diffondere la sua conoscenza ed il suo patrimonio artistico e culturale, è riuscito con grande generosità a regalare a noi e a chi ci legge una grande prova di motivazione e molti impulsi per l’Arte, per darle un significato essenziale e autentico  nella nostra esistenza.

 

1 Ottobre 2024,  Anna Rubbini



Un'opera di Roberto Pagnani, "Up", 2024, sopra il caminetto della sua casa, la Nuova Villa Ghigi

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