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PULZE - RICHIAMI DALLA GERMANIA

di Alice Rubbini














Richiami dalla Germania, questa esclusiva mostra di Pulze, trascende dalla sua figurazione più nota, dalle città attraversate da persone senza volto, accompagnate da un angelo dall’abito scuro e dalle ali candide, che appare e conduce o che cerca quell’io solo, quell’io esasperato dalla quotidianità. Queste opere sono una dedica, che nasce ispirata da essenziali riferimenti culturali di questo grande Paese europeo e dalla sua storia. Nonostante gli elementi distintivi di Pulze compaiano comunque, qua e là ricorrenti, come nel gesto pittorico, nell’atmosfera - che sia immersa nel colore o che sia avvolta dai bianchi e neri silenti, nel suo essere “pop” e “mediale” insieme, iconico e astratto allo stesso tempo - in questa occasione l’artista si abbandona all’ispirazione, ai rimandi, all’incanto dei ricordi e alle dediche cariche di nostalgia. Perché gli inviti alla nostra attenzione qui sono molteplici, lui ci parla di miti e di luoghi che appartengono alla realtà, come gli scorci di Berlino e di Colonia, ma soprattutto lambiscono la fascinazione: figurazioni che attraversano la contemporaneità e la storia, citano il passato abbracciando l’attualità, scandiscono il tempo della memoria e della conoscenza, traducono, interpretano e attualizzano i simboli culturali lontani intrecciandoli con il presente.



Berlino Angel, G.Pulze, acrilico su tela, 100x100 2023


Spaziano dai riferimenti letterari a quelli poetici o alle arti visive, alla “popular music” o alla cinematografia, alle iconografie urbane o proprie degli avvenimenti recenti che tutti noi conosciamo o abbiamo studiato. Il gesto pittorico è l’unico, l’assoluto interprete di sensazioni e sentimenti, è quella fotografia mai scattata, ma che legge perfettamente tra le righe della narrazione e dell’immaginazione. L’artista sceglie dei codici evocativi sinceri, riconoscibili, senza filtri e senza fraintendimenti, il suo linguaggio è volutamente aperto a tutti, più di ogni altra cosa vuole essere immediato, come immediata è la fruizione dell’immagine nell’attualità. I suoi dipinti sono “un libro aperto”, sono percezione pura e parole scandite; e la seduzione, la magia, sta proprio in questo, nella spontaneità. L’interpretazione (o re-interpretazione in alcuni soggetti) è un processo creativo significativo che accompagna l’azione pittorica, nulla appartiene al caso, nemmeno quelle piccole gocce bianche che tempestano i suoi dipinti, perché fanno sua l’immagine, sono ciò che determina l’energia e la profondità della figurazione e la rende irripetibile. Sono pieno nel vuoto dell’aria. Una prospettiva cromatica rivelata dall’astrazione gestuale, questa “action”, questo segno che lo contraddistingue, crea un volume e un filtro tra noi e l’immagine, una terza dimensione che accomuna lo spazio e il tempo. La traccia iniziale di questo ampio progetto dedicato alle varie sfumature della cultura germanica – e al suo paesaggio - è segnata da tre opere incisive e bellissime, che hanno dato inizio e forma, con la loro “romantica” intensità, all’interezza della mostra.

I richiami partono quindi da l’Attesa, due dipinti del 2000, dedicati a Caspar Friedrich (di cui quest’anno si festeggiano i 250 anni dalla nascita dell’artista) esponente del Romanticismo Tedesco, in cui le presenze guardano all’immensità dell’orizzonte (come nel “Viandante sul mare”), alla forza e alla perfezione della bellezza del mondo e all’efficacia della luce che irradia il paesaggio.



L'Attesa, (Omaggio a Caspar Friedrich), acrilico su tela 80x80cm, 2000


L’uomo è al centro dell’opera, è il fulcro nodale e spirituale del dipinto, è l’unità di misura emozionale e poetica dell’esistenza. Quanto siamo piccoli in questo mondo, quanto siamo fragili! Questo soggetto è particolarmente sentito da Pulze, tanto da dedicargli altre tre opere esclusive dal titolo Paesaggio interiore (2023), dove si rinnova attualizzando la figurazione più classica: il viaggiatore contemporaneo, contempla la bellezza del mondo, su una spiaggia, abbandonando il suo cellulare, oggetto inutile di fronte all’immensità, così come, seduto dentro o camminando vicino ad una Volkswagen, auto/icona della Germania, - oltre che esempio di bellezza e genialità stilistica - simbolo di indipendenza e di movimento, che attraversa quasi un secolo di storia. Sono intensità dalle quali difficilmente siamo disposti a separarci e dai quali difficilmente discostiamo lo sguardo, ci svegliano la mattina e ci accompagnano nella giornata, eppure, possiamo esserne consapevoli o meno, c’è ancora molto da scoprire, c’è l’infinito oltre. La seconda opera, che viene da un passato più recente, è Scala a chiocciola del 2011, omaggio al filosofo Arthur Schopenhauer. La figurazione di un concetto filosofico mantiene, comunque, la didascalica cifra di riconoscibilità dell’artista. Il distacco dal bene materiale e la salita verso il nirvana, la prospettiva dell’estasi, rendono estrema l’energia della rappresentazione. L’abbandono del desiderio è liberatorio da ogni sofferenza umana, è l’uscita da una prigione che seppur dorata, è pur sempre una barriera. Riconosciamo una Porche, un altro dei simboli dell’industria automobilistica tedesca famoso nel mondo. E riconosciamo l’ascesi, la salita verso un posto migliore che conduce in cima ad un’infinita scala a chiocciola, percorso della nostra immanenza, ma non vediamo la fine, non ancora. Altre sono le dediche a dei pilastri della cultura, tradotte e personalizzate: l’ispirazione prende forma propria, le parole dipinte assumono fisionomie diverse eppure esplicite. Una volta ho visto un aereo senza ali è tratto dal titolo di un libro/intervista fotografico di Wim Wenders. Lo sfondo è un paesaggio accattivante, dalle nuance e dettagli che non definiscono un luogo in particolare, pur essendo memoria di un scenario concreto, mentre la sagoma di un aereo - senza ali – viene trasposta con Bulli, il furgone bicolore Volkswagen che sin dagli anni ’50 ha accompagnato generazioni di giovani e di famiglie, rappresentando sì l’utilità, ma soprattutto la libertà di viaggiare e il privilegio di essere indipendenti. Il paesaggio reale, le vedute urbane a cui Pulze ci ha abituato, lo dedica a tre vedute: Berlino Angel con la porta di Brandeburgo, quella monumentale demarcazione tra est e ovest; e Colonia Angel con il duomo dalle guglie gotiche che caratterizza la città, avvolte in una sorta di notturno, vissuto da persone nella propria quotidianità, in cui si scorge un angelo che si mescola tra loro. Lo distinguiamo dalle immaginifiche ali bianche, custode di tutti o qualcuno, non lo sappiamo, in realtà soggetto di una percezione, sensazione invisibile e silente che accompagna la nostra speranza. E poi, in un monocromo blu e le sue sfumature,  lo Siegessäule, l’Angelo della Vittoria, uno dei simboli più popolari della città, ripreso da Wim Wenders in “Così lontano così vicino” ed il “Cielo sopra Berlino”, come nell’ancor più noto videoclip degli U2, sempre con la regia di Wenders, “Stay (Faraway so Close!)” del 1993, da cui Bono canta del suo angelo che cade sulla terra.

Ma un’altra canzone diviene incarnazione in questi dipinti di Pulze, Wind of Change, scritta dagli Skorpions nel 1989, (divenuta simbolo della riunificazione della Germania) dove le figure si tengono per mano e sospinte dal vento dei cambiamenti superano i confini del passato, della storia indelebile, dell’esistenza senza futuro. Anche questo dipinto è un monocromo, ma la tonalità terrosa inonda l’opera di una luce nostalgica, la luce della memoria, cartolina ingiallita di qualcosa che è stato spazzato via dal tempo ma non dai documenti e dai ricordi. Infine, ma non ultimo, il polittico, i quattro dipinti dedicati Alla Luna, una romantica ode di Goethe del 1777 (dedica all’amico Weimar), quella luna che raffigura il ricordo, la natura, la morte, l’esistenza e il suo continuo divenire. La sua luce riflessa e candida, che non scalda le stagioni terrene, addolcisce i profili della natura e protegge dagli sguardi indiscreti. Ognuno dei quattro dipinti è una fase della vita, è dolore che all’imbrunire affiora più intenso. I sentimenti sono imprescindibili liriche della realtà, stati vitali in continuo, contraddittorio divenire. La natura è tutto, e l’uomo una sua parte, così affermava Gethe, e così è.

Pulze rende “opera” questa orchestrazione di dettagli, unicum stilistico distintivo che coordina ogni riferimento, dà corpo all’elaborazione di una riflessione colta dalla conoscenza quanto dall’esperienza, eco razionale di concetti che si richiamano a vicenda.  E’ respiro di colori e tonalità intense, di persone, esperienze, paesaggi della vita e dell’anima, intimo equilibrio di parole ispirate, che rivestono la nostra immaginazione. Ed è soprattutto a questo che serve l’arte, e la pittura, a dare forma alle parole, ai pensieri, a quella realtà che non possiamo fotografare, ma che vediamo anche ad occhi chiusi.


1 febbraio 2024, Alice Rubbini

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